Pubblicato il 2020-01-09
In questo periodo dell'anno la Gallura offre esperienze molto singolari. Luglio è il mese del grano e delle erbe officinali.
È luglio. Cercavi il mare piú blu, e lʼhai trovato, in Gallura. Ma come te lʼhanno trovato tutti i tuoi vicini dʼombrellone. Cosí, per isolarti un poʼ, ti alzi, dai le spalle al mare e risali la spiaggia, dove crescono le prime piante profumate. Lí sollevi lo sguardo e scopri lʼaltro orizzonte, un grande mare verde con scogli argentati e tante piccole isole dorate. Se avessi una vista da falco, vedresti un brulichio, in quelle isole dʼoro: sono i contadini galluresi che mietono e trebbiano il grano.
È luglio. In lingua gallurese questo mese si chiama aglióla, parola che significa trebbiatura. A cosa serve la trebbiatura? A separare i chicchi dei cereali dalla pula. Reminiscenze di parabole bibliche? Che ne dici di andare a mietere un poʼ di emozioni? Che ne dici di togliere il sale e la sabbia dalla tua vacanza e assaggiare finalmente la polpa di questa terra?
Giugno e luglio sono i mesi della raccolta di fiori e semi. A Luogosanto, proprio nel cuore della Gallura, a fine giugno si raccolgono anche erbe officinali come i fiori di elicriso, iperico e lavanda. Alcune aziende agricole biologiche locali coltivano, raccolgono, lavorano, confezionano e vendono queste materie prime e i tanti preparati erboristici. Le prime settimane di luglio invece sono dedicate alla raccolta di grano, orzo e avena.
Lʼospitalità non manca; uomini e donne dai valori saldi accolgono pochi fortunati ospiti che possono partecipare al piú importante evento dellʼannata agraria, ammirare lʼAprilia che stantuffa, sfrega, separa, setaccia e lancia la pula dal cannone, immergere le mani nel grano ancora caldo di sole, raccoglierlo nei sacchi, pesarli, registrarli e caricarli sui carrelli dei trattori, partecipare alle conversazioni degli agricoltori che si scambiano impressioni sulla quantità e la qualità della produzione, le tecniche di coltivazione, e poi gli immancabili racconti, aneddoti e scherzi. Perché lʼagliola è sí un lavoro, ma anche e soprattutto una grande festa, unʼoccasione dʼincontro e di scambio.
In diversi stazzi di Luogosanto, come Lu Mucaréddu e Tressèrri, è possibile partecipare alla mietitura a mano, dove anziani e giovani contadini raccontano e spiegano come si svolgono le operazioni, dallʼorganizzazione sul campo della squadra di mietitori agli abili gesti per usare correttamente i piccoli falcetti dalla lama seghettata, con cui si tagliano i mannelli di grano, poi raccolti in covoni e ammassati in biche.
Lʼemozione di entrare in un campo di spighe dorate che ondeggiano al soffio del vento, al fianco di uomini e donne che con modestia condividono i loro piccoli grandi saperi, è impagabile. Prender parte a un lavoro ancestrale e fondamentale per la cultura mediterranea, camminare leggeri sulla terra che ha nutrito generazioni di esseri umani e dare il proprio piccolo contributo perché questo rito continui riempie i sensi e le mani di emozioni. A fine mattinata ti stupirai di ritrovarti sulle labbra la sabbia e il sale che avevi lasciato in riva al mare… ma sarà tutto un altro sapore!
Dopo la festa puoi tornare al mare blu e godertelo anche piú di prima, ma ogni tanto ti volterai a guardare con nostalgia il mare verde e le sue isole dorate dietro di te. Non ti preoccupare, di nostalgia si guarisce: basta fare ritorno nellʼentroterra, a cuore aperto. Ti dirò di piú, la nostalgia si può prevenire: basta scegliere Luogosanto o un altro paese dellʼinterno come meta delle tue vacanze e goderti la quiete, la natura, la cultura di questi luoghi. Poi, da qui, ogni volta che lo desidererai, in pochi minuti potrai raggiungere il mare e riscoprire il confine di unʼisola che soltanto allora potrai dire di conoscere davvero.
Nei millenni, le culture sarde sono fiorite e si sono sviluppate attorno alla coltivazione del grano. La Sardegna era “il granaio di Roma” e ancora adesso produce grandi quantitativi di questo cereale, di grano duro in particolare, detto tricu saldu (grano sardo). La Gallura però anche in questo è una regione speciale: qui si è sempre coltivato di piú il grano tenero, chiamato tricu còssu (grano còrso), uno dei tanti frutti del millenario scambio tra le due sponde delle Bocche di Bonifacio.
Pare che questo grano antico sia arrivato in Sardegna dopo il Medioevo, con i primi pastori còrsi che hanno colonizzato lʼarcipelago della Maddalena, e che da queste “Isole di Mezzo” sia approdato in Gallura e adottato dai pastori-contadini degli stazzi. Ma nel Novecento lu tricu cossu ha rischiato lʼestinzione, perché istituzioni, agronomi e commercianti hanno spinto i galluresi a preferire varietà di frumento piú produttive e richieste dal mercato. Varietà che però non sempre attecchivano in questi terreni granitici e che avevano bisogno di costanti cure per resistere a muffe e parassiti.
Per fortuna, un agricoltore coscienzioso, Agostino Sotgiu, dello stazzo di Chèssa, ha custodito gli ultimi manipoli di tricu cossu e ne ha seminato i chicchi, anno dopo anno, selezionandoli e donandoli ad altri agricoltori sensibili al recupero e al mantenimento dei grani antichi. Ora, sullʼesempio di ziu Austinu Sóggiu “Dajòni”, sono sorte delle associazioni di agricoltori-custodi che si occupano della salvaguardia, sensibilizzazione e valorizzazione di questa e altre varietà e dei suoi prodotti: la farina e la semola, il lievito madre (la matrica), la pasta tipica (cjusòni, fiuritti e pulilgiòni), il pane (lu còccu, lu panʼa lólga), la zuppa gallurese (suppa cuata) e gli immancabili dolci tradizionali (acciuléddi, cucciuléddʼe méli, papassini, casgiatini, casgiulati…).
Dopo i giorni della messe arrivano i giorni della trebbia. Fino ai primi del Novecento questa operazione si svolgeva nelle aie, in gallurese dette li róti. Alcuni di questi si possono ancora ammirare nei poggi piú ventosi degli stazzi. Sono dei monumentali lastricati circolari di granito, con al centro un palo attorno al quale si facevano correre schiere di cavalli o buoi, che con il loro calpestio liberavano i chicchi dalle spighe. Poi la massa si raccoglieva e si lanciava in aria, dove quella formidabile macchina a emissioni zero che è il vento di maestrale si occupava di spazzar via la paglia e la lolla, mentre i grani, piú pesanti, cascavano a terra e si raccoglievano nei sacchi. Nonostante lʼaiuto del vento, era un lavoro molto faticoso e poco efficiente, basti pensare ai tanti sassolini che immancabilmente finivano nei sacchi di grano!
Le prime mototrebbie trainate dai buoi furono come una manna dal cielo per i contadini galluresi. Una di queste, immatricolata nel 1927, modello Aprilia della Succursale Italo Svizzera Macchine Agricole S.a. di Bologna, è ancora in funzione allo stazzo Capriólu di Luogosanto, grazie alla passione di un altro agricoltore lungimirante: Pietro Pirredda. Pitréddu ha collezionato piú di settanta trebbiature, da quando era bambino, nel dopoguerra, al séguito del padre da uno stazzo allʼaltro della Gallura, agli anni della pensione (in realtà lavorando sempre), quando ha deciso di restaurare lʼAprilia del padre e rimetterla in funzione.
Da anni, Pitreddu, i suoi figli e un bel gruppo di amici si riuniscono per trebbiare lu tricu cossu e lu tricu saldu delle loro aziende. Come vuole la tradizione, è sempre una gran festa: alla fine non manca mai un lauto pranzo allʼombra degli olivastri, qualcuno che suona la fisarmonica e bambini, ragazzi, uomini, donne e anziani che sʼincontrano e si raccontano. Anche grazie a occasioni come questa sono sempre piú numerosi gli hobbisti e i nuovi agricoltori che vogliono custodire e tramandare la cultura e le colture tradizionali.
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